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COVID and third wave: do we need more ICU places?


Over 80% of coronavirus cases have mild to moderate symptoms, about 15% have severe illness requiring hospitalization and about 5% require intensive care support.


The mortality of critically ill patients in the first wave was between 40% and 61%, despite medical support.

This mortality is exceptional, much higher than the 10-30% of the 2009 H1N1 pandemic (swine flu, originating from Mexico).

The high need for intensive support could account for the different mortality in the different situations that may have limited resources, while, if we analyze regions with unsaturated intensive care, mortality was reduced to 15%.


The data published in Chest comes from a large meta-analysis of 45 studies in 17 countries around the world, for a total of 16,500 patients admitted to Intensive Care Therapy and tell us what happened in the world in the first wave.


The typical patient who was transferred to resuscitation was male, mean age 60, overweight.

Half of these patients were hypertensive, one in four were diabetic, and one in five had a history of cardiovascular disease. The conditions precipitated 9-10 days after the onset of symptoms, with markedly high inflammation indices (eg average CRP 170 mg / dl) and a chest x-ray that showed bilateral thickening.

3/4 of the patients admitted to intensive care developed ARDS, at least 1/4 developed acute kidney or heart damage, shock or a thromboembolic event.

2/3 required orotracheal intubation and amine support, 16% required dialysis and 6.4% required ECMO.

The majority of patients were treated with antiretroviral and antibiotic therapy. Only 43% were treated with glucocorticoids.


The length of hospitalization in the ICU was approximately 11 days (double that of severe community-acquired pneumonia), with mortality between 23.4% and 33%.

Mortality did not differ by geographic distribution, study type or quality, sample size, center type, study end date, or patient disposition.


Providing sufficient service capacity at the critical care level is a global health priority to prevent inequalities in the outcomes of this disease.

There is no time, tomorrow is already here.




Thanks for sharing. Many posts on my soul blog.




Italian Version


COVID e terza ondata: abbiamo bisogno di più posti in terapia intensiva.


Oltre l'80% dei casi di coronavirus presenta sintomi da lievi a moderati; circa il 15% ha una malattia grave che richiede il ricovero in ospedale e circa il 5% richiede un supporto di terapia intensiva.

La mortalità dei pazienti in condizioni critiche nella prima ondata erano tra il 40 e il 61%, nonostante il supporto medico.

Questa mortalità è eccezionale, molto superiore al 10-30% della pandemia di H1N1 del 2009 (l’influenza suina, a provenienza dal Messico).

L’alta necessità di supporto intensivo potrebbe rendere ragione della diversa mortalità nelle diverse realtà che possono presentare risorse limitate, mentre se si analizzano regioni con terapie intensive non saturate, la mortalità si riduceva al 15%.


I dati provengono da una grande metanalisi di 45 studi in 17 paesi del mondo, per un totale di 16.500 pazienti ricoverati in terapia in tensiva.


Il paziente tipico che veniva trasferito in rianimazione era maschio, età media 60 anni, sovrappeso.

Metà di questi pazienti era iperteso, uno su quattro era diabetico e uno su cinque aveva storia di malattie cardiovascolari. Le condizioni precipitavano a 9-10 giorni dall’insorgenza dei sintomi, con indici di flogosi marcatamente elevati (es. PCR media 170 mg/dl) e una Rx torace che evidenziava un quadro di addensamento bilaterale.

¾ dei pazienti ricoverati in terapia intensiva sviluppavano un’ARDS, almeno 1/4 sviluppava un danno acuto renale, cardiaco, uno shock o un evento tromboembolico.

2/3 hanno richiesto intubazione orotracheale e supporto con amine, il 16% ha necessitato dialisi e il 6.4% l’ECMO.

La maggioranza dei pazienti è stata trattata con terapia antiretrovirale e antibiotica.

Solo il 43% è stato trattato con glucocorticoidi.


La durata del ricovero in terapia intensiva è stata di circa 11 giorni ( il doppio rispetto ad una polmonite grave acquisita in comunità), con una mortalità compressa tra il 23.4% e il 33%.

La mortalità non differiva per distribuzione geografica, tipo o qualità dello studio, dimensione del campione, tipo di centro, data di fine dello studio o disposizione del paziente.


La sufficiente capacità di servizio a livello di terapia intensiva è una priorità sanitaria globale per prevenire le disuguaglianze nei risultati di questa malattia.

Non c’è tempo, domani è già qui.





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