T he spectrum of the disease induced by COVID can vary with atypical symptoms, which require to keep our attention not only on interstitial pneumonia.
In addition to the risk of respiratory failure, COVID infection is accompanied by an increase in both venous and arterial thrombotic pathologies which overall affect about 8% of hospitalized patients.
Current guidelines recommend heparin prophylaxis for all hospitalized COVID patients, even if its use at therapeutic doses did not lead to the expected benefits in terms of survival.
The risk of venous thromboembolism represents the most common thrombotic complication, with an incidence that increases with the days of hospitalization (16% at 7 days, 33% at 14 days, 42% at 21 days)
In the ICU, the risk of venous thromboembolism is close to 30%, but the diagnosis of pulmonary embolism is more difficult in sedated patients on invasive mechanical ventilation.
The key question of the proportion of true embolic PE and pulmonary artery thrombosis in situ remains open, as well as the long-term consequences of these acute conditions.
Arterial thrombosis has a lower incidence (1-16%) with catastrophic consequences ranging from limb amputation, cerebral stroke, myocardial infarction to death.
The occlusion does not seem to be linked to the destabilization of an atherosclerotic plaque, but to a hypercoagulability tate associated with microangiopathy and can affect multiple districts even simultaneously (coronary arteries, pulmonary arteries, retinal arteries ...) up to multi-organ failure.
COVID patients with arterial thrombosis are not the classic PAD patients, but they are younger without atherosclerotic vascular disease and the diagnosis can be insidious or delayed.
Furthermore, the thrombophilic state compromises the outcome of revascularization interventions.
Microvascular thrombosis can give subtle pictures such as pseudoperniosis due to compromise of the interdigital arteries, retinal microangiopathy, urticaria, skin rash similar to chickenpox.
The viral affinity of SARS-CoV-2 for endothelial cells triggers complement activation leading to a state of hyperinflammation with lethal damage to endothelial cells. Vascular denudation leads to exposure of the thrombogenic basement membrane. In addition, proinflammatory cells enhance the coagulation system, vascular edema and microvascular thrombosis.
Thrombotic microangiopathy is clinically identified as microangiopathic hemolytic anemia, thrombocytopenia, and organ damage, such as neurological, renal and cardiac dysfunction.
Elevated D-dimer values (> 1500 ng / mL) have a sensitivity of 85%, a specificity of 88.5% and a negative predictive value of 94.7% on COVID-related thrombosis. Monitoring during hospitalization could discriminate patients at risk of clinical evolution and who could benefit from an increase in antithrombotic prophylaxis at least intermediate doses.
As well as those patients who have skin or visual changes suggestive of micro-vascular thrombosis, and we do not need an ultrasound for this information, just shake the patient's hand when we go to visit him and ask him if he can see well while we smile.
Healing with a little humanity always pays off.
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Italian Version
Microangiopatia trombotica da COVID: diamoci una mano
Lo spettro della malattia indotta dal COVID può variare con sintomi atipici, che ci impongono di tenere alta l’attenzione non solo sulla polmonite interstiziale.
Oltre al rischio di insufficienza respiratoria, l’infezione da COVID si accompagna ad un incremento delle patologie trombotiche sia venose che arteriose che complessivamente colpiscono circa l’8% dei pazienti ricoverati.
Le linee guida attuali raccomandano la profilassi farmacologica con eparina per tutti i pazienti affetti da COVID ricoverati, anche se il suo utilizzo a dosi terapeutiche non ha portato ai benefici attesi in termini di sopravvivenza.
Il rischio di tromboembolismo venoso rappresenta la complicanza trombotica più comune, con una incidenza che incrementa con i giorni di degenza (16% a 7gg, 33% a 14 gg, 42% a 21gg)
In terapia intensiva il rischio di tromboembolismo venoso è vicino al 30%, ma la diagnosi di embolia polmonare è più difficile in pazienti sedati in ventilazione meccanica invasiva.
La questione chiave della proporzione tra la vera EP embolica e la trombosi dell'arteria polmonare in situ rimane aperta, così come le conseguenze a lungo termine di queste condizioni acute.
La trombosi arteriosa presenta un’incidenza minore (1-16%) con conseguenze catastrofiche che vanno dall’amputazione degli arti, l’ictus cerebrale, l’infarto miocardico fino alla morte.
L’occlusione non sembra essere legata alla destabilizzazione di una placca aterosclerotica, ma ad uno stato di ipercoagulabilità associato alla microangiopatia e può colpire più distretti anche contemporaneamente (coronarie, arterie polmonari, arterie retiniche …) fino all’insufficienza multiorgano.
Il pazienti COVID con trombosi arteriosa non sono i classici arteriopatici, ma sono pazienti più giovani e la diagnosi può essere insidiosa o tardiva.
Inoltre, lo stato trombofilico acquisito sembra inoltre peggiorare l’out-came degli interventi rivascolarizzazione.
La trombosi microvascolare può dare quadri subdoli come la pseudoperniosi per compromissione delle arterie interdigitali, microangiopatia retinica, orticaria, rash cutaneo simile alla varicella.
L'affinità virale di SARS-CoV-2 per le cellule endoteliali innesca l'attivazione del complemento che porta a uno stato di iperinfiammazione con danno letale sulle cellule endoteliali. La denudazione vascolare porta ad esposizione della membrana basale trombogenica. Inoltre, le cellule proinfiammatorie potenziano il sistema di coagulazione edema vascolare e trombosi microvascolare.
La microangiopatia trombotica è clinicamente identificata da anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia e danno d'organo, come disfunzione neurologica, renale e cardiaca.
Valori elevati di D-dimero ( >1500 ng/ml) presentano una sensibilità dell'85%, una specificità dell'88,5% e un valore predittivo negativo del 94,7% sulla trombosi COVID-correlata. Il monitoraggio durante il ricovero potrebbe discriminare i pazienti a rischio di evoluzione clinica e che potrebbero giovarsi di un incremento della profilassi antitrombotica a dosi almeno intermedie.
Come pure quei pazienti che presentano alterazioni cutanee o oculari suggestive di trombosi micro-vascolare, e per queste informazioni non ci serve l’ecografo, basta dare la mano al paziente quando lo andiamo a visitare e chiedergli se ci vede bene mentre sorridiamo.
A curare con po’ di umanità, ci si guadagna sempre.
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