Il NEJM pubblica una breve e completa revisione narrativa sull’embolia polmonare, da leggere e rileggere con attenzione.
Tra le righe, scorgiamo alcune abitudini ancora dure da cambiare come il trattamento in acuto con eparina sodica o il posizionamento di un filtro cavale di routine perché la quantità di trombo in arteria polmonare o il trombo flottante in vena femorale ci spaventano.
Va evitata la distinzione tra embolia polmonare massiva e non massiva: la quantità di trombo non cambia la terapia o la prognosi. Impariamo a dividere le embolie polmonari in base al rischio prognostico alla presentazione (alto, medio e basso rischio)
La terapia nella fase acuta è legata alla presenza di compromissione emodinamica (alto rischio: trombolisi sistemica, superiore alla loco-regionale) o sovraccarico ventricolare destro (medio rischio: indicata EBPM, meno rischiosa e più efficace di ENF).
In assenza di questi due fattori è indicata nella maggior parte dei casi la terapia domiciliare con un anticoagulante diretto, a meno di insufficienza renale grave o sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi in tripla positività (in questi casi usare gli AVK). Molti ricoveri superiori alle 48 ore sono pertanto impropri.
Il riscontro di embolia polmonare sub-segmentaria senza trombosi venosa profonda merita un doppio check radiologico (falso positivo? Evento pregresso?) e il trattamento anticoagulante per tre mesi solo se il rischio di recidiva è elevato e il rischio di sanguinamento è basso.
Non rivoltiamo il paziente come un calzino alla ricerca di neoplasia occulta nelle forme idiopatiche, nove volte su dieci non troviamo niente.
Dopo tre-sei mesi rivalutiamo il paziente, considerando se l’evento è secondario ad un fattore maggiore, minore o non è provocato. Pesiamo il rischio di recidiva ed il rischio emorragico.
Le embolie polmonari non provocate nei maschi meritano quasi sempre la terapia a tempo indefinito, negli altri casi non diamo la terapia indefinita per scontato.
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