Le malformazioni cavernose cerebrali sono gavoccioli venosi compatti nel cervello o nel midollo spinale, con aspetto anatomico simile ad un grappolo d’uva.
Si trovano nello 0,5% della popolazione generale. Per visualizzarle è necessario una RM o una angio-TC che contempli la fase venosa. Con l’arteriografia tradizionale possono non essere visualizzate.
L’immagine classica in RM è quella con aspetto a pop-corn per via delle numerose formazioni vascolari.
La maggior parte (85%) sono singole e sporadiche. Nei casi rimanenti sono familiari o post radioterapia.
Le forme familiari sono legate a mutazione genetica a penetranza incompleta, con maggior numero di malformazioni cerebrali nello stesso individuo. I vasi sono privi di muscolatura e più proni alla rottura.
Paziente con pregressa radioterapia cranica possono sviluppare una lesione a 10 anni nell’8% dei casi.
La sintomatologia è legata all’emorragia e alla crescita della malformazione. Ci aspettiamo convulsioni (50%) e segni neurologici focali (25%).
Rispetto alle malformazioni arterovenose e gli aneurismi, l’emorragia da cavernoma ha un sanguinamento ridotto ed è meno spesso fatale.
Dal 20 al 50% delle lesioni sono riscontri occasionali, con rischio di sanguinamento dello 0.1-1% all’anno.
Se tuttavia la lesione ha già sanguinato, il rischio aumenta al 3-10% nell’arco dell’anno, arrivando al 15-56% nell’arco di 5 anni.
Pertanto, il più grande fattore di rischio per l'emorragia cerebrale è una precedente emorragia.
L’angioRM può vedere il pregresso sanguinamento per via del deposito di emosiderina perilesionale, che dà un orletto a fioritura.
L’angioTC può capire meglio se il sanguinamento è attivo.
In diagnosi differenziale vanno i tumori, l’angiopatia amiloide e le MAV artero-venose.
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Il rischio di rottura non dipende dalle attività svolte o da traumi cranici.
La resezione chirurgica è indicata per i pazienti sintomatici.
La radioterapia stereotassica è utile nei pazienti non candidabili alla chirurgia, con risposte parziali o complete in circa l'80% dei pazienti e miglioramento clinico in circa il 56%.
Possiamo dare terapia anti trombotica ai pazienti con malformazione cavernomatosa cerebrale?
Nel 2019 una metanalisi di 6 studi prospettici pubblicata su Lancet Neurology ci sorprende concludendo che l'uso della terapia antitrombotica (antiaggregante o anticoagulante ) è stato associato a un minor rischio di emorragia intracranica o deficit neurologico focale durante il follow-up a lungo termine.
Questi risultati sono coerenti con le precedenti associazioni non significative osservate nei singoli studi di coorte sulla terapia antipiastrinica per i pazienti con CCM.
L'associazione tra la terapia antitrombotica e un minor rischio di emorragia intracranica o deficit neurologico focale da un CCM è coerente con l'ipotesi che questi eventi possano essere innescati dalla formazione di trombi nelle caverne dilatate in cui il flusso sanguigno è lento.
Un meccanismo fisiopatologico simile alla base degli infarti emorragici nei pazienti con trombosi venosa cerebrale, che vengono trattati con anticoagulanti per migliorare l'esito e ridurre il rischio di recidiva, indipendentemente dalla presenza di infarto emorragico.
L'esiguo numero di pazienti che assumevano terapia anticoagulante in questi studi (probabilmente a causa dei timori dei medici riguardo a questi farmaci nei pazienti con CCM) ha fornito stime imprecise dell'associazione tra terapia anticoagulante ed emorragia intracranica durante il follow-up.
La possibilità che la terapia antitrombotica possa essere utile per la prevenzione dell'emorragia intracranica da CCM dovrebbe essere studiata in uno studio randomizzato controllato.
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