Convincere un paziente che ancora non ha sperimentato un evento cardiovascolare ad assumere un farmaco contro il colesterolo appare difficile, ma anche nella classe medica persiste ancora una certa resistenza.
L’incidenza degli eventi in prevenzione primaria è bassa e per avere un’analisi scientifica solita è necessaria una casistica molto ampia, anche se tutti gli studi condotti finora che hanno testato le statine in prevenzione primaria hanno dato sempre e comunque un favorevole rapporto rischio/beneficio.
Le statine sono in grado di prevenire un gran numero di infarti, ictus e morti vascolari, con un aumento relativamente piccolo del rischio di sintomi muscolari e disturbi epatici e renali.
Inoltre, la mancanza di differenze significative nell'incidenza di disturbi muscolari clinicamente rilevanti supporta l'ipotesi che i sintomi muscolari riportati da soggetti trattati con statine possano essere, almeno in parte, attribuibili ad un effetto 'nocebo'.
Un’ampia metanalisi recente di 62 studi randomizzati controllati ha raccolto 120 mila pazienti seguiti per circa 4 anni in cui sono analizzati i benefici e gli effetti collaterali delle statine in prevenzione primaria e confrontati con placebo o nessun trattamento.
Le statine sono state associate ad un aumento non significativo di sintomi muscolari, insufficienza renale, epatopatie e disturbi oculari. In numeri assoluti, per ogni anno di trattamento, per ogni 10.000 pazienti trattati risparmiamo 19 infarti, 9 ictus e 8 morti vascolari.
Per la casistica media di un medico di medicina generale, significa 3 infarti, un ictus e una morte evitabile all’anno nei suoi pazienti altrimenti considerati sani.
Il tipo di statina e la dose non hanno influenzato in maniera significativa gli eventi avversi, ad eccezione di una relazione dose-risposta dell’atorvastatina sulla funzione epatica, in quanto i dosaggi maggiori si associavano da un aumento significativo delle transaminasi.
Questo risultato è rilevante e sostiene l’attuale raccomandazione delle linee guida internazionali di scegliere il trattamento ipolipemizzante adeguato a raggiungere il target di LDL-c ideale per ogni paziente, in base al suo rischio cardiovascolare.
Il sottoutilizzo e la scarsa persistenza della terapia con statine è un’occasione persa per fare reale prevenzione cardiovascolare.
Il trattamento non dovrebbe essere sottovalutato dai medici curanti influenzati dall’eccessiva enfasi dei pazienti sui potenziali effetti avversi e dalla sottostima del rischio cardiovascolare del paziente.
Il risultato ottenuto è estremamente positivo e supera di gran lunga la prevenzione primaria con aspirina.
Ricordiamo che tre grandi studi randomizzati recenti hanno sancito definitivamente la scarsa efficacia nella prevenzione cardiovascolare dell’aspirina in prevenzione primaria, anche in popolazioni di anziani, diabetici, fumatori, ipertesi ad alto rischio cardiovascolare, che pagavano il caro prezzo di un incremento notevole del rischio di sanguinamento.
Molti pazienti sono ancora in terapia antiaggregante in prevenzione primaria senza indicazioni precise, con la convinzione errata che “tanto un’aspirina al giorno male non fa!”. In questi pazienti è importante una rivalutazione del rischio cardiovascolare ed eventualmente una sospensione della terapia antiaggregante.
In allegato delle linee guida pratiche per gestione della dislipidemia.
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