Anna ha 43 anni. Voleva fortemente un bambino. La prima volta, qualche anno fa, è andata male. Poi niente, neanche con la fecondazione assistita. Eppure, tutti gli esami andavano bene. Voleva rinunciare.
Poi il miracolo.
Ha paura a dirlo in giro: non vuole lusingarsi, altrimenti poi dovrà dare spiegazioni. Solo lei sa quanto lei quanto male fa affrontare chi ti chiede come stai dopo che l’hai perso.
È all’inizio del quarto mese, si vede appena un po’ di pancia. Ma stamattina non si sente bene. La pressione è bassa, il battito è accelerato, le manca un po’ il fiato, le gambe sono un po’ gonfie.
Il compagno la porta in Pronto Soccorso.
La collega del PS contatta la ginecologo e di seguito anche me. E Se fosse un’embolia polmonare?
“L’emocromo è normale, il D-dimero è elevato”.
“Il D-dimero serve poco. Ha febbre? Hai fatto una troponina?”
“No”.
“Controlla l’ECG, fai una troponina e mandamela. Se ha escluso altre diagnosi che potrebbero peggiorare con la terapia anticoagulante, fai pure una presa di EBPM”
Anna entra in ambulatorio in carrozzina. Marco, il suo compagno, è in confusione totale.
Lo faccio sedere e tranquillizzo prima lui. Le donne sono sempre più lucide e forti nei momenti delicati come questi.
Stendo Anna sul lettino, le parlo con gentilezza per metterla a suo agio. Lei sorride, ma sento perfettamente la paura che nasconde elegantemente.
L’ecocolorDoppler venoso mostra una trombosi dell’iliaca comune ed esterna sinistra.
Le spiego che la gravidanza procederà comunque, ma dovrà farsi delle iniezioni di eparina per tutta la durata della gravidanza e nelle 6 settimane successive. E che questa è comunque una gravidanza a rischio.
Lei annuisce. Qualunque cosa c’è da fare, la farà. Marco mi riempie di domande ripetitive a cui cerco di rispondere con pazienza.
Le faccio completare le indagini con un ecocardiogramma, che risulta normale. La troponina è negativa.
Probabilmente un’embolia polmonare ci sarà stata, ma ulteriori indagini radiologiche sarebbero dannose e non cambierebbero il percorso terapeutico.
La collega del PS mi chiede in merito ad un filtro cavale. “Assolutamente no, per carità!”
Anna viene tenuta in osservazione per 48 ore, quindi viene dimessa. Riposo assoluto.
Un mese dopo mi scrive. È andata male. Mi chiede come incontrarci per il controllo della trombosi.
“Anna, tra un po’ ci puoi riprovare se te la senti, ma ci saranno delle terapie da fare durante la gravidanza”
“Per il momento ho bisogno di prendere fiato. È solo che il tempo passa e Marco che ci tiene tanto...”.
Mi pare di capire tra le righe e non insisto più.
È giusto, Anna, ora pensa a recuperare le forze e un po’ di serenità. E sii grata alla vita. Hai rischiato molto per questa gravidanza, con coraggio e generosità. Non devi dimostrare niente a nessuno. Sei già una donna completa ed eccezionale.
Ognuno di noi, in coppia o meno, può diventare fecondo e generativo in modi e tempi differenti da quelli a cui la maggior parte della gente è abituata a pensare.
Tromboembolismo venoso e gravidanza
Anche nei paesi economicamente molto sviluppati, l’embolia polmonare è responsabile del 10% dei decessi in gravidanza.
Il rischio tromboembolico in gravidanza e nel post partum è 6 volte superiore rispetto alle donne non gravide (l’incidenza sale da 2 a 12.2 per 10.000 donne) e aumenta con il procedere della gravidanza nel puerperio. I dati sono confermati da una metanalisi su oltre 93 milioni di donne negli Stati Uniti, altri studi mostrano incidenze maggiore che non tendono a ridursi negli anni nonostante i progressi nella prevenzione del TEV.
Perché in gravidanza il TEV aumenta?
I fattori della coagulazione aumentano fisiologicamente nella gravidanza come protezione dell’emorragia post partum. C’è un aumento della stasi venosa dovuta alla compressione dell’utero ed alla ridotta mobilità.
Di contro la donna gravida non presenta gli altri consueti fattori di rischio per TEV (immobilizzazione, recente intervento chirurgico, cancro), ma l’incidenza di TEV aumenta con l’età della donna, il fumo di sigaretta, la presenza di ipertensione e obesità (BMI > 30 kg/m2).
La storia di un pregresso evento tromboembolico aumenta il rischio di TEV in gravidanza (4 volte se l’evento era idiopatico, 6 volte se era legato ad estrogeni).
La trombofilia maggiore aumenta il rischio di TEV in gravidanza fino a 30 volte (mutazioni in omozigosi FV Leiden e Protrombina), ma anche le mutazioni in eterozigosi possono incrementarne di 6-8 volte il rischio.
Il parto cesareo aumenta di 5 volte il rischio di TEV.
La fecondazione in vitro porta ad un picco di estrogeni con stimolazione di multipli ovociti che porta un incremento del rischio di TEV da 2 a 3 volte superiore, soprattutto in corso gravidanze multiple.
La pre-eclampsia è associata ad un aumentato rischio di TEV di 3 volte, ma solo nel periodo postpartum
Anche le infezioni post partum possono aumentare il rischio di TEV di 4 volte.
Presentazione clinica e diagnosi
In gravidanza i sintomi sono confondenti: tachicardia, ipotensione, dispnea ed edemi agli arti inferiori sono comuni. Meno del 5% delle donne in cui si sospetta una embolia polmonare ha una reale conferma diagnostica. Il D-dimero aumenta in gravidanza, ed è utile solo per escludere il TEV nelle donne con bassa-intermedia probabilità pre test.
La TVP agli arti inferiori nelle gravide è prevalentemente prossimale e discendente, dalle vene iliache alla v femorale (maggiormente al lato sinistro), l’ecocolorDoppler presenta una buona capacità diagnostica in questi casi.Se l’ecolorDoppler venoso è negativo per TVP, ma il sospetto clinico è elevato è necessario procedere con ulteriori indagini (angioTC polmonare o scintigrafia polmonare).
Sebbene l’angio-TC sia associata a un'esposizione leggermente maggiore alle radiazioni (∼3-10 mSv) rispetto alla scintigrafia polmonare (∼2 mSv), essa è più facilmente accessibile e ampiamente disponibile nella maggior parte dei centri, ha una minore variabilità inter-osservatore e un tempo di acquisizione più breve, quindi resta l’esame cardine.
Terapia del TEV in gravidanza e dopo il parto
Il cardine del trattamento per il TEV acuto in gravidanza e dopo il parto è l'anticoagulazione.
L'anticoagulante di scelta è l'eparina, preferibilmente l'eparina a basso peso molecolare (LMWH) in singola o doppia somministrazione, con dosi aggiustate al variare del peso durante la gravidanza.
La doppia somministrazione sembra più ragionevole all’avvicinarsi del parto, per consentire l’accesso all’analgesia epidurale (24h dall’ultima somministrazione) e ridurre il rischio di sanguinamento.
Il warfarin è controindicato: attraversa la placenta, si associa a teratogenicità, perdita di gravidanza, sanguinamento fetale e deficit dello sviluppo neurologico.
Anche gli anticoagulanti diretti (DOAC) sono controindicati. Il Fondaparinux non ha dati in gravidanza.
La terapia anticoagulante potrà essere ripresa 12 h dopo il parto (24h dopo un’epidurale) e proseguire per le 6 settimane del puerperio, garantendo sempre almeno 3 mesi di terapia in totale.
Le pazienti con embolia polmonare a rischio basso ed intermedio possono proseguire con la terapia con EBPM ed essere trattenute in osservazione.
Le embolie polmonari con segni di sovraccarico ventricolare destro e aumento della troponina devono ricevere un’attenta valutazione per eventuale trombolisi loco-regionale nel momento in cui compaia instabilità emodinamica che potrebbe essere fatale.
Solo in caso di controindicazione assoluta e temporanea alla terapia anticoagulante (es. parto imminente) dovrà essere posizionato un filtro cavale, quando la diagnosi di TEV è recente.
Prevenzione del TEV nelle gravidanze successive
Le pazienti con TEV associato alla gravidanza hanno un rischio di recidiva fino al 13% durante le gravidanze successive.
La profilassi con EBPM (dosi profilattiche o intermedie) appare sicura ed efficace ed è riservata alle donne maggiormente a rischio di TEV (pregresso TEV idiopatico, TEV associato a estrogeni o precedente gravidanza)
In caso di trombofilia maggiore (omozigosi o doppia eterozigosi) la presenza di familiarità impone comunque la profilassi, ricordando che il puerperio è un periodo particolarmente a rischio.
Nelle donne con sindrome da anticorpi antifosfolipidi e storia di poliabortività l’EBPM è da associare ad aspirina a basso dosaggio (75-100 mg/die)
Le linee guida sono riassunte nei due articoli indicati, ma attenzione in alcuni casi sono discrepanti. Dobbiamo saper pesare la somma dei singoli fattori di rischio per prendere la decisione più corretta.
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