La trombosi venosa cerebrale (CVT) coinvolge di solito il seno sagittale superiore i seni laterali e rappresenta l’1% degli ictus. Il progresso nelle indagini radiologiche ha portato ad un amento delle diagnosi (15 casi/milione/anno).
Nella maggior parte dei casi la causa è multifattoriale, ma spesso è secondaria ad infezioni della testa o collo o del sistema venoso centrale. Raramente la trombosi è secondaria a traumatismo o neoplasia.
Un fattore noto sembra essere l’associazione con gli estrogeni (gravidanza, terapia ormonale).
Un terzo dei pazienti presenta una trombofilia, ma la prevalenza di una trombofilia maggiore che ne cambierebbe l’approccio terapeutico è estremamente bassa.
I sintomi tipici sono la cefalea e i disturbi visivi, conseguenze dell’ipertensione endocranica ei l papilledema. Un quarto dei pazienti può presentare convulsioni.
La diagnosi è attualmente affidata all’angioTC venosa o all’angioRM cerebrale.
La prognosi della trombosi venosa cerebrale solitamente è buona, la mortalità che può variare dall’1% al 9% legata alle complicanze dell’ipertensione endocranica.
L’esordio con emorragia intracranica si associa ad una prognosi peggiore.
Il trattamento raccomandato prevede EBPM a dosi terapeutiche nella fase acuta, anche in presenza di emorragia associata, anche se le evidenze provengono da due studi di piccole dimensioni.
Dopo il trattamento parenterale iniziale, la maggior parte dei pazienti passa alla VKA.
Tre ampi studi osservazioni (ISCVT, CEVETIS, VENOST per un totale di 2500 pazienti) hanno evidenziato l’efficacia e la sicurezza del warfarin nel lungo termine.
Le linee guida suggeriscono una durata variabile del trattamento anticoagulante tra 3 e 12 mesi, che può essere prolungata nei pazienti con TEV ricorrente o condizioni pro-trombotiche persistenti
Piccoli studi hanno valutati l’uso dei DOAC nella trombosi cerebrale con risultati eccellenti.
Tre studi hanno valutato rivaroxaban, due dabigatran e tre coorti includevano diversi DOAC.
Lo studio RESPECT-CVT ha reclutato 120 pazienti randomizzandoli a warfarin o Dabigatran, senza evidenziare differenze negli esiti emorragici o recidive di trombosi.
La scelta del dabigatran sembra legata alla presenza di un antidoto efficace per primo disponibile sul mercato. Ma i pazienti arruolati erano troppo pochi per rendere i risultati generalizzabili.
I risultati del recente studio ACTION-CVT cerca di rispondere a questa domanda.
E’ uno studio multicentrico, internazionale, retrospettivo, osservazionale che ha coinvolto 845 pazienti in 6 anni. Sono stati esclusi pazienti neoplastici, gravide o pazienti con sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi.
In questa ampia coorte reale di pazienti con diagnosi di trombosi venose cerebrali, il trattamento con DOAC era associato a un rischio simile di recidiva di TEV, morte e tassi di ricanalizzazione della TVP, ma a un rischio inferiore di emorragia, rispetto al trattamento con warfarin.
Attendiamo la conferma da parte due ampi studi osservazionali prospettici come il DOAC-CVT (Direct Oral Anticoagulants in the Treatment of Cerebral Venous Thrombosis) e lo studio randomizzato SECRET con il rivaroxaban.
Study. Stroke. 2022 Mar;53(3):728-738
JAMA Neurol. 2019 Dec 1;76(12):1457-1465.
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