La trombosi della vena retinica è la causa più comune di disabilità visiva.
È associata a fattori oculari o ad aterosclerosi delle arterie retiniche.
La trombosi può coinvolgere un ramo o la vena centrale della retina. L’edema retinico che ne consegue riduce l’acuità visita e si può complicare con emorragia, neo-vascolarizzazione e glaucoma.
La trombosi può essere ricorrente in sede omolaterale (2%) e controlaterale (10%).
Una gestione appropriata dei fattori di rischio cardiovascolare rilevanti (ad es. ipertensione arteriosa, diabete, dislipidemia) è fortemente consigliata per ridurre il rischio di complicanze future, ma l’efficacia della terapia antitrombotica è ancora in discussione.
L'associazione più forte tra RVO e trombofilia è stata riportata nei pazienti più giovani (età ≤45 anni), quelli con una storia familiare o personale di tromboembolia venosa e quelli senza fattori di rischio cardiovascolare. Anche le malattie autoimmuni (ad es. lupus eritematoso sistemico) e la terapia estrogenica possono rappresentare potenziali fattori di rischio per la trombosi venosa retinica.
Il trattamento della trombosi venosa retinica ha lo scopo di ridurre le complicanze locali, favorire la ricanalizzazione e prevenire gli eventi cardiovascolari.
Gli interventi oculistici prevedono l’iniezione intraoculare di desametasone ed inibitori dell’angiogenesi ( es. Bevacizumab).
L’uso di aspirina o ticlopidina si è rilevato migliore del placebo in termini di aumento dell’acuità visiva.
EBPM è stata usata nelle trombosi di recente insorgenza (<30 giorni), a dosi terapeutiche per 7-10 gg, quindi a dosi intermedie per 3 mesi ha dato risultati nettamente superiori rispetto all’aspirina nel recupero visivo e nella riduzione delle recidive, senza alcuna differenza nei tassi di sanguinamento.
I dati delle metanalisi degli studi in merito confermano queste osservazioni, con una riduzione del rischio relativo del 78% degli esiti oculari avversi dopo somministrazione di EBPM, senza alcun aumento del rischio di emorragia vitreale.
Nessuno studio clinico ha finora valutato il ruolo degli anticoagulanti orali diretti nella occlusione venosa retinica, anche se da uno studio di coorte su pazienti con fibrillazione atriale, i DOAC sembrano meno protettivi rispetto al warfarin.
Quanto proseguire con la terapia antitrombotica?
La terapia anticoagulante andrebbe prescritta solo per un breve periodo iniziale (1-3 mesi), dopo l’evento acuto, da non associare a terapia antiaggregante, anche se già assunta in precedenza ( a meno di condizioni speciali).
La presenza di una emorragia retinica piccola o isolata, comunque da trattare tempestivamente, non rappresenta una controindicazione assoluta alla terapia anticoagulante.I trattamenti oculari vanno pianificati nella fase di valle della terapia anticoagulante. Successivamente è indicata la terapia antiaggregante se il paziente presenta un rischio cardiovascolare globale molto elevato.
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